«Pesa il Sinodo di ottobre è un messaggio per l’unità»

di Antonio Manzo
Martedì 1 Settembre 2015, 23:51 - Ultimo agg. 2 Settembre, 00:05
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Stavolta Papa Francesco piace anche a lui, sia pure limitatamente all’analisi della lettera al Giubileo. Roberto de Mattei è schierato da tempo come un centravanti «storico-teologico» nell’ex squadra di Giuliano Ferrara, capace di segnare «gol interpretativi» sul Concilio Vaticano II.



Sono quei giocatori post-ratzingeriani che coltivano e, naturalmente combattono, il sospetto di una Chiesa che vuole apparire ai contemporanei fin troppo piaciona a dispetto della dottrina. «Sarebbe il peccato di una Chiesa troppo spinta ad assecondare acriticamente la modernità del post-valori fondamentali», dice il professore. Insegna storia contemporanea ed stato allievo e assistente del filosofo Augusto Del Noce e dello storico Armando Saitta negli anni in cui la cultura cattolica, perfino tra silenzi e diffidenze del mondo ecclesiale, preconizzava il «suicidio della rivoluzione» prima che nel 1989 crollasse il Muro di Berlino.





Professore de Mattei, la lettera del Papa con la richiesta durante il Giubileo dell’assoluzione per chi ha praticato l’aborto e la validità della confessione presso i lefebvriani non le appaiono una sorta di consigli da amnistia teologico-pastorale per i peccatori della Chiesa?





«Non possiamo leggere la lettera del Papa in una visione progressista o conservatrice dell’indirizzo dottrinale di Francesco. La lettera per il Giubileo rappresenta, invece, un’indicazione pastorale forte alla vigilia dei lavori del Sinodo sulla famiglia che si aprirà tra qualche settimana. È molto importante e decisiva l’indicazione pastorale del riconoscimento della liceità delle confessioni presso i sacerdoti della Fraternità di San Pio X».





Possono essere contenti i tradizionalisti pur presenti nella Chiesa?





«Credo di sì dopo la lettura del comunicato della Fraternità San Pio X nel quale viene espressa riconoscenza al Sommo Pontefice per un gesto definito paterno».





Un passo ulteriore nel dialogo per rimarginare la ferita post-conciliare dopo che appena due anni fa Bernard Fellay, successore di Lefebvre, disse che Papa Francesco era un vero modernista da evitare, Papa da scisma?



«Dalla remissione della scomunica dei lefvebriani ad opera di Benedetto XVI ad oggi, questo riconoscimento della confessione presso i sacerdoti della Fraternità Pio X è l’atto più importante della Santa Sede verso i lefvebriani, perché è un atto unilaterale del Papa nel dialogo in corso, non era codificato in nessun accordo nè era al centro delle rispettive valutazioni dottrinali».



Potrà determinare scossoni dal versante progressista della Chiesa?



«I progressisti hanno gli occhi e le menti rivolte al prossimo Sinodo sulla famiglia. La partita pastorale dei «kasperiani», per intenderci, è tesa ad alcuni obiettivi come, ad esempio, la comunione ai divorziati risposati che stanno però già determinando nuove osservazioni da parte di alcuni cardinali».



La concessione della confessione ai lefevbriani potrebbe essere il riequilibrio delle posizioni tra conservatori e progressisti anche in vista del Sinodo?



«Possiamo anche leggere la Lettera giubilare come un oculato passaggio del Papa in vista del Sinodo di ottobre prossimo: da una parte ferma i cosiddetti progressisti nel giudicare negativamente l’apertura ai lefebvriani; dall’altra induce i tradizionalisti a credere seriamente al dialogo. Verso il Sinodo il partito «kasperiano» è attendista, ma potrebbe conquistare passi avanti sul tema dei divorziati e il prezzo da pagare, sia pure retroattivamente sarebbe il riconoscimento già avvenuto con la confessione ai lefevbriani».





Torniamo ai temi della Lettera giubilare: così l’aborto rischia di non essere considerato più un peccato?



«Affatto, il Papa ha inteso solo estendere una prerogativa canonica che apparteneva solo ai vescovi di assolvere dal peccato dell’aborto. È nel solco della tradizione pastorale della Chiesa la delega del vescovo ai sacerdoti per confessare i peccati più gravi. Il Papa non viola alcun ”fondamentale” dottrinale. Anzi, torna a definire l’aborto come profondamente ingiusto, un dramma vissuto con una consapevolezza superficiale, un gravissimo male».



Non teme che il concetto teologico della misericordia possa essere interpretato da una società relativista come un perdonismo acritico rispetto al male dell’umanità?



«È un rischio, non c’è dubbio. Ma la Chiesa deve predicare la misericordia parallelamente alla giustizia, una sorta di equilibrio dottrinale. La misericordia infinita di Dio ci accompagna fino al momento della nostra morte, ma quando quel momento giunge suona irrimediabilmente per l’anima l’ora della giustizia. E la mia impressione è che questo equilibrio teologico non sia ben presente nelle parole del Papa».



Che idea si è fatta di questi primi anni del papato di Francesco?



«Il Papa si presenta come un conservatore, non si pronuncia contro i dogmi, cioè resta fedele alla dottrina ma la sua strategia pastorale è di per sé rivoluzionaria. Spesso subordina la verità alla prassi, e lo fa su un tema incandescente come la famiglia. Le sue parole potrebbero essere fonte di disorientamento nella Chiesa».