Clementino: «Io, Pulcinella del rap al servizio di zio Pino»

di Federico Vacalebre
Venerdì 24 Aprile 2015, 22:56 - Ultimo agg. 23:11
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«Ncopp’ ‘o beat spira tanto sentiment». Clementino vuole andare lontano, e sa di venire da lontano: «Miracolo!», prodotto con Shablo, è l’album sfida che esibisce le sue radici, arruolando un doppio dream tream per spiegare l’inesorabile diversità dell’alieno dell’hip hop italiano, perfettamente a suo agio in lingua come in dialetto («ma è una lingua!», protesta lui).



Per paradossale che sia, al rap duro e puro dedica il secondo cd, presente solo nell’irrinunciabile edizione deluxe, dove si scatena il mucchio selvaggio composto da Noyz Narcos, Salmo, Gemitaiz e Madman, Ensi, Francesco Paura, Coez, i Sanguemostro, la pattuglia salernitana di Tonico 70, Patto M, Morfuco e il supergruppo newpolitano dei Messaggeri del Vesuvio (Lucariello, Oyoshe, Skarraphone, Emcee ‘o Zi, Lele Blade e Dome Flame dei Kimikon Twinz, Fabio Farti, Peste Mc, El Coyote, Ivano’ e Master Prod della Pankina Crew, Valerio Nazo).



L’album vero e proprio, è più mainstream, un assalto al cielo del pop nazionale, che cammina su tre gambe: l’irrinunciabile hip hop, il reggae e il neapolitan power. «Come Pino e Troisi parto dal nient ’o frat, e come Alessandro Siani ’na risata c’ha sempre salvati», riassume lui, che però non indulge al sorriso qualunquista ed assolutorio, preferendo lo sberleffo feroce, l’orgoglio terrone, il groove malandrino.





Il destino ha voluto che «Miracolo!» contenga l’ultima canzone registrata da Pino Daniele.





«Il disco è dedicato a lui, maestro che mi riconosciuto suo allievo, che mi ha voluto sul palco dei suoi concertoni di fine anno al Palapartenope, che mi ha concesso stima ed amicizia. Nel dolore condiviso con la nazione napoletana averlo sul mio album è motivo di orgoglio indicibile. Abbiamo registrato “Da che parte stai?” prima dei suoi ultimi show partenopei, nel dicembre scorso, qualche settimana prima della sua morte improvvisa. Gli era piaciuto il tema del pezzo, parla di guerre, delle mille Gomorre che insanguinano il mondo; mi aveva consigliato qualche rima, si era messo la cuffia in testa e... ecco zio Pino nel disco di Clementino, scherzando tra noi avevamo creato un mostro a due teste, ClemenPino».





Risentire la voce del Nero a metà in un pezzo nuovo emoziona non poco. Una base in levare che sarebbe piaciuta a Manu Chao, citazioni di Totò e Rino Gaetano per scegliere di stare con chi non ha niente, il mascalzone latino che canta sottile: «È la guerra che parte da qua, nuie simme stat già colonizat, da Palestina fino a Pakistan, criatur stann senza libertà. Natu surdat ca more ambress, si ma adesso da che parte sta?».






«Pino diceva che chi sa da dove viene non si dimentica di chi è rimasto nel ghetto, nella miseria, nel dolore. Ho scritto il pezzo mentre mi trovavo in mezzo alle palafitte in Birmania nei giorni di “Pechino express”, osservando persone che non sapevano se avrebbero mangiato a sera, eppure mi sorridevano».





Detto del Lazzaro che ci ha fatti felici, ripartiamo dal titolo: perché «Miracolo!»?





«Dopo “Mea culpa” mi serviva qualcosa che riassumesse quello che stava accadendo a me, ex scugnizzo di Camposano di Nola, che si ritrovava sul suo album Daniele, James Senese che soffia nel suo torrido sax in “Selvaggi”, Tony Esposito che mi ha concesso la sua “Kalimba de luna”, Alessandro Siani con cui ho giocato a costruire un rap intorno al tormentone “Cos cos cos” lanciato nel film “Il principe abusivo”. Mi sembrava un miracolo, poi ho rivisto “Ricomincio da tre” in cui anche Troisi parlava di miracolo, e così...».





«Luna», come «Voceanima», è una canzone d’amore, cosa rara nel tuo repertorio. A Sanremo non l’hanno voluta, preferendo il finto rap di Moreno.





«Al Festival ormai non penso più, hanno fatto la loro scelta ed io faccio la mia corsa. Cantare i sentimenti per me è una sfida e mi diverte».



Parliamo del reggae «Oracolo del Sud».



«Di Mezzogiorno, di Meridione, della parte più bella e scamazzata di un’Italia mai davvero unita parla anche “Sotto le stelle”, che è una storia di moderna emigrazione. Ma il pezzo con Mama Marjas e Boomdabash è particolare: anche se le star dell’hip hop italiano sono milanesi, l’hip hop italiano è napoletano, per originalità, lingua, persino per numero di adepti. E così il reggae italiano è pugliese, salentino: avere con me gli eredi dei Sud Sound System mi ha permesso di rivolgermi alla tribù sudista».



Clementino come un nuovo Jovanotti? Come un nuovo Celentano? In conferenza stampa sdraiato sul tavolo tra i giornalisti più che un rapper sembrava di avere di fronte uno showman.



«Clementino come Clemente Maccaro, come uno che ne deve mangiare ancora di pane, che si diverte ad essere se stesso anche tra i giornalisti, che quando il lavoro glielo permette si ritrova con gli amici di sempre, che cerca di dare a suo fratello Paolo - sentite il pezzo inciso con i Therivati - o agli amici di rione la possibilità di emergere che lui ha avuto».



Qual è lo stato di salute dell’hip hop italiano?



«È esploso, è diventato una moda, ci sono troppi turisti del rap: lo praticano perché si porta, domani si daranno alla mazurka se quello sarà il suono del momento. Il rap è un microfono aperto, è potere alla parola, è denuncia e gioco, j’accuse e pariamento. Io sono un po’ come Pulcinella, allegro fuori e triste dentro. Mi tengo fuori dalla guerre tra rapper, le mie battaglie le ho combattute, e vinte, al tempo delle sfide freestyle».



Tra le star Don Joe e Marracash, Fabri Fibra e Rocco Hunt (“Woodstock”) ci sono tantissimi colleghi napoletani, affermati e non. E titoli come «Giordano Bruno» e «L’oro di Napoli».



«Un rapper di Nola – anche Rame viene da là - non può non restare affascinato dalla figura del filosofo mandato al rogo a Campo de’ Fiori perché libero pensatore.
Il pezzo che divido con Op’Rot dei Ganjafarm, un talento misconosciuto, ricorda che il vero oro di Napoli è la sua gente, il suo popolo. Con Rocchino andavo sul sicuro, come con ‘Nto e Luche’: non sono riuscito a riunirli in un solo pezzo, ma sono uno di quelli che sogna di rivedere i Co’Sang insieme. Sono tutti e due straordinari, ma ‘Nto è il migliore di tutti noi nello scrivere strofe di strada».