La scena potrebbe più o meno essere questa. Arriva finalmente il primo luglio. Dopo oltre 300 giorni con la saracinesca abbassata per le chiusure decise a causa della pandemia, il gestore si reca finalmente al suo negozio. Infila la chiave nella serratura, tira su la serranda, apre la porta, accende le luci del locale, e... E giusto il tempo di scollegare tutte le macchine, rispegnere le luci, ritirare giù la saracinesca e chiudere definitivamente la sua attività. Non è pura immaginazione. In realtà è un copione già scritto. È quanto accadrà ai gestori delle sale scommesse italiane se, nel frattempo, non ci sarà un intervento del governo. Le sale sono chiuse ormai da quasi un anno. Saranno, come si diceva, le ultime a riaprire. La data prevista è il primo luglio. Ma c’è un ulteriore problema. Il 30 giugno scadono le concessioni che permettono ai gestori di raccogliere le puntate degli scommettitori. Dunque dal primo luglio, giorno della riapertura, non potranno più esercitare. Con le concessioni scadono anche le autorizzazioni del Tulps, il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza. Accettare una scommessa anche di un solo euro sulla Roma, sulla Lazio, o sugli europei di calcio alle porte, sarebbe un reato. Piccola parentesi.
RICORSI E CONTRO-RICORSI
Uno scommettitore uscito di casa con l’intenzione di non rientrare prima di aver fatto la sua puntata, proprio non avrebbe alternative? Tolte le scommesse illegali (che pure è facile immaginare vivrebbero nel caso una loro seconda giovinezza), potrebbe sempre recarsi in un punto Stanleybet. Loro una concessione italiana non ce l’hanno, e dunque non gli scade. Raccolgono le puntate, tra ricorsi e contro-ricorsi dello Stato italiano, in base ai buchi del diritto europeo. Insomma, probabile che assistano a questo disfacimento del sistema italiano tra il divertito e l’interessato. Ma questa è un’altra storia. Torniamo alle sale scommesse “legali”. Perché la loro storia è interessante, è l’esempio vivente dell’incapacità della politica italiana di assumere decisioni. Soprattutto quando queste decisioni possono essere divisive. Le concessioni per le sale sono state assegnate nel 2007 attraverso i cosiddetti «bandi Bersani», dal nome dell’allora ministro Pierluigi Bersani che aprì definitivamente il settore.
BUCO DI BILANCIO
Il sottosegretario all’Economia, Claudio Durigon, ha parlato di una norma “ponte” fino alla legge di bilancio. Si vedrà. La Ragioneria fino a oggi si è opposta, non sarebbe riuscita a trovare 39 milioni di euro (in un decreto a deficit per 40 miliardi) per allungare le concessioni fino alla fine dell’anno. Ultima parentesi. Dalla gara delle concessioni lo Stato deve incassare da sei anni 500 milioni (ora diventati 900). Anche qui, pensare ancora di incassare questa cifra fa parte della fiction, ma nella realtà andrebbe cancellata dai conti pubblici perché è un evidente buco di bilancio. A nessuno ovviamente conviene ammetterlo. Cosa accadrà dunque? Due possibilità. O le concessioni saranno di nuovo prorogate nottetempo, oppure toccherà al Tar allungarle: concessioni scadute, ma si va avanti grazie a una sentenza. Che fa contenti tutti. Perché nessuno vuole mettere mano alla foresta pietrificata del gioco pubblico. © RIPRODUZIONE RISERVATA