Il coraggio di vietare una barbarie

di Mariano Ragusa
Martedì 9 Febbraio 2016, 23:53
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Avanti, dice il premier Renzi, sulle Unioni civili. Avanti a viso aperto perché «è finita - avverte - la stagione in cui nascondersi, i diritti e i doveri sono tali solo se sono per tutti e di tutti». Il disegno di legge Cirinnà è nell’agenda parlamentare. E si comincerà a discuterne per approvarlo. Con le incognite legate alla geografia parlamentare che intorno a quel provvedimento legislativo si delineerà. Ma soprattutto sotto il peso di un interrogativo, per molti aspetti epocale, che si appunta sul tema dell’utero in affitto. La stepchild adoption, cioè l’estensione della genitorialità al compagno della nuova coppia (anche omossessuale) è guardata da ampi strati della società italiana e del mondo politico come il grimaldello che permetterà di legittimare quella pratica di maternità surrogata in cui trionfa il principio del capriccio travestito da diritto e dove l’onnipotenza di una umanità, che ritiene «consumabile» ogni limite di natura e di etica, celebra il suo trionfo.
Con chiarezza una donna e una madre, il ministro della salute Beatrice Lorenzin, ha riproposto con forza la questione. Lo ha fatto in una intervista a Repubblica fondando il suo ragionamento sulla barbarie, rilevata dal documento di un «contratto» di utero in affitto stipulato da una coppia di genitori italiani in Ucraina. «Uteri in affitto - ha sottolineanto con sconcerto il ministro - a cinquemila euro». E, toccando il profilo etico della questione, ha rimarcato: «Siamo viziati, ricchi ipocriti, permettiamo che i bambini divengano merce». 

No, dichiara il ministro, a «una pratica sociale lesiva dei diritti fondamentali dell’esere umano». Sì, per conseguenza del suo ragionamento, alle «unioni civili ma senza la possibilità di maternità surrogata, per gay o etero - sottolinea - poco importa». Esponente di un partito di maggioranza, il ministro mette sul tavolo le condizioni possibili del consenso alla legge: stralciare dall’impianto normativo quel contestatissimo articolo sulla stepchild adoption. Posizione del possibile di cui è fatta la pratica della politica. E tuttavia un tema così delicato, complesso, altamente «sensibile» meriterebbe atteggiamenti più netti, forse coraggiosi di fronte a certo neoconformismo montante, certamente meno ipocriti.
L’ipocrisia si annida nella indeterminatezza in cui, pure nel contesto del provvedimento legislativo, viene tenuta la pratica dell’utero in affitto. Dichiarare, e mettere nero su bianco in legislazione, la sua illegalità e la consenguente e pesante sanzione penale alla quale vanno incontro quanti a quella pratica facessero ricorso è un gesto di chiarezza che andrebbe in quella dierezione. Da una politica che decide è appena lecito attendersi questo atteggiamento. Diluire responsabilità, annacquare il confronto che dovrebbe essere invece rigoroso, è il metodo sbagliato che proprio nel rimettere la decisione al Parlamento sovrano, si nasconde.
FOrse un tale atto di indiscussa chiarezza permetterebbe anche di liberare il tema altrettanto delicato e complesso della stepchild adoption dall’ipoteca che gli ha imposto l’ombra dell’utero in affitto. Quell’adozione «in casi particolari» (così si chiama nell’inglesismo corrente la stepchild adoption) è già prevista e disciplinata dalla legge italiana sin dal 1983, in nome del diritto del bambino ad avere una famiglia. In nome della tuetla del minore è prospettata dai promotori la stepchild adoption formalizzata dal disegno di legge Cirinnà. E la modifica dell’articolo che ha trasferito la valutazione sulla adeguatezza del nuovo genitore al Tribunale per i minori è stata accolta come un passaggio significativo e di garanzia. Innazitutto per il bambino. Restano certamente aperti i dubbi e gli interrogativi (culturali, etici, anche religiosi) sulla omologabilità di famiglia etero e famiglia omo. Ma sul piano del legislatore un altro sforzo appare possibile. 
IL premier Renzi, nel suo irrefrenabile mantra della velocità, dopo aver rimarcato che la Cirinnà non «non è il via libera valle adozioni ma garatire continuitàò affettiva del minore», non si è sottratto alla questione utero in affitto. «Mi sembra ingiusto che si possa comprare o vendere considerando la maternità o la partenità un diritto da soddisfare». E contro quella pratica di maternità surrogata, accessibile perchè diffusa in altri Paesi, ancora il premier assegna all’Italia la missione di «rilanciare questa sfida culturale». Ogni messaggio si nutre di gesti, ogni sfida pretende, per essere credibile e vincente, atti misurabili. Iniziare da un muro che divide il lecito dall’illecito, dichiarando, nella legge in discussione, penalmente perseguibile la pratica dell’utero in affitto, è il passo conseguente della dichiarazione di principio del premier. Un atto di chiarezza. E un calcio all’ipocrisia.

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