Riforma delle toghe, perché vanno distinti i giudici dai pm

di Tommaso Frosini
Martedì 7 Maggio 2024, 23:05
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Con l’accordo di governo sulla riforma della giustizia, che prevede soprattutto la separazione delle carriere tra giudice e pubblico ministero, si chiude il cerchio delle tre proposte di riforme istituzionali, presentate e promesse al corpo elettorale da parte della maggioranza politica. Ognuna delle proposte è voluta e sostenuta da ciascuna forza politica della coalizione di governo. Messe insieme, le proposte di riforma rappresentano il collante che tiene unita la maggioranza, sulla base della fiducia elettorale ricevuta. Così il premierato è la riforma di Fratelli d’Italia, il regionalismo differenziato è voluto dalla Lega, la riforma della giustizia è il cavallo di battaglia di Forza Italia. Le prime due proposte, premierato e regionalismo differenziato, hanno iniziato il loro iter parlamentare che si potrà concludere con l’approvazione finale di entrambi i testi di legge. La terza proposta, relativa alla riforma della giustizia, è finora frutto di un impegno governativo, che dovrà sfociare in un progetto di legge costituzionale da sottoporre alle Camere. Si conoscono già quelli che saranno le linee guida del progetto. Innanzitutto, la separazione delle carriere tra giudice e pubblico ministero, con la creazione di due Csm, uno per gli uni e uno per gli altri.

Quello della separazione delle carriere è un tema che torna ciclicamente nel dibattito politico-istituzionale italiano. Non sono mancati, in passato, progetti che hanno provato a modificare la costituzione attraverso la previsione di una divisione e distinzione dei ruoli tra chi giudica e chi accusa. A parte la cosiddetta “bozza Boato” della bicamerale D’Alema, ricordo una proposta d’iniziativa popolare, predisposta dalle Camere penali nel 2017, che proponeva una soluzione ben strutturata. Altrettanto il disegno di legge costituzionale presentato dall’allora ministro della giustizia Alfano nel 2011, che prevedeva la separazione delle carriere, il doppio Csm e una Alta Corte dedicata ai provvedimenti disciplinari sui magistrati.

Rispetto ai due progetti di riforma sul premierato e sul regionalismo differenziato, questo della giustizia sarà diversamente divisivo.

Non tanto fra maggioranza e opposizione, né tantomeno all’interno dell’opinione pubblica, la quale credo sia tendenzialmente d’accordo, piuttosto fra legislatore e magistrati. Sono questi ultimi, specialmente nella loro componente organizzata sotto forma di correnti, a contrastare qualsiasi progetto di riforma che li riguardi direttamente, a maggior ragione la separazione delle carriere. Non si capisce il motivo di questa opposizione. Eppure, lo afferma la Costituzione all’art. 111, che regola i principi del giusto processo, quando prescrive che il giudice deve essere imparziale e terzo. Terzietà vuol dire appartenenza del giudice a un ordine diverso da quello del pubblico ministero. Perché un conto è chi giudica e fa giustizia, altro conto è chi accusa e chiede giustizia. Il giudice, infatti, è terzo e imparziale; il pubblico ministero è parte. Il giudice è soggetto soltanto alla legge, e quindi deve osservare il principio di legalità; il pubblico ministero è organo dell’azione penale, che è esercitata con libera discrezionalità. È inconcepibile che nello stesso ordine giudiziario vi sia una convivenza, che può sfociare in una intercambiabilità, fra chi accusa e chi giudica. Come può chi ha accusato sapere poi giudicare con imparzialità, indipendenza e giustizia?

Tenere distinto e distante il giudice dal pubblico ministero vuol dire applicare la separazione dei poteri. Nei paesi del costituzionalismo liberale funziona così: i giudici costituiscono un ordine autonomo e indipendente da ogni potere e sono soggetti soltanto alla legge. Sarebbe giusto che venisse scritto anche nella costituzione italiana.

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