«Il Sud non è una riserva indiana, bene i Patti, ma si deve fare di più»

di Nando Santonastaso-inviato
Venerdì 27 Maggio 2016, 02:31
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Roma. Le tensioni della vigilia sfumano negli occhi, la stanchezza un po’ meno. Sono passate poche ore dalla relazione letta senza un inciampo nell’Auditorium del Parco della musica e Vincenzo Boccia, nuovo presidente di Confindustria, è pronto anche ai tempi supplementari dell’intervista. Il sorriso è compiaciuto, sereno come nei giorni più belli. Difficile non esserlo dopo i complimenti ricevuti un po’ da tutti per la qualità e l’intensità del discorso, dopo l’incontro con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e i tanti ministri venuti ad ascoltarlo (da Franceschini a Calenda, voluti al tavolo, a Delrio, Alfano, Madia, Lorenzin, Giannini, Martina, Poletti seduti in prima fila). Immancabile anche un altro salernitano illustre, il governatore della Campania Vincenzo De Luca (con l’assessore alle attività produttive Amedeo Lepore): antica e forte l’amicizia tra i due ma sbaglia chi attribuisce meno «grinta» al neo presidente degli imprenditori. Chi lo conosce bene sa che dietro lo stile di Confindustria non c’è un carattere docilissimo. 

Presidente Boccia, lei è un uomo del Sud che però di Sud parla in genere poco, forse meno di quello che ci si aspetterebbe: perché? 
«Sono del Sud e sono fiero di esserlo. Il Sud però non è una riserva indiana. Perciò quello che va bene per il Nord va bene anche per il resto del paese. La mia impresa è nata a Salerno, ma giro l’Italia e sono consapevole che le problematiche vissute dalla mia azienda sono comuni a quelle di molte altre imprese. Non serve parlare ma fare. Come ho detto in Assemblea, al Sud non servono politiche straordinarie, servono politiche più intense ma uguali a quelle necessarie al resto del Paese. In questo momento ad esempio abbiamo questa grande opportunità dei fondi strutturali e dell’apertura dell’Europa ad una maggiore flessibilità. Sfruttiamola».

Il governo annuncia che vuole rendere strutturali gli sgravi per le assunzioni e studia la possibilità di misure ad hoc per il taglio del costo del lavoro al Sud: che ne pensa?
«Il Jobs Act è uno strumento importante che, al di là delle presunte distorsioni, ha dato ottimi frutti. In particolare gli sgravi per le nuove assunzioni hanno funzionato e creato occupazione. Secondo un sondaggio del nostro Centro studi, l’anno scorso il 62% delle imprese di Confindustria ha dichiarato di aver assunto o di volerlo fare in seguito alle novità introdotte. Quindi cavallo che vince non si cambia. Ci auguriamo che l’annuncio di rendere strutturale lo sgravio diventi presto realtà».

Ma è soddisfatto delle misure decise finora dal governo per il Mezzogiorno? I Patti per il Sud serviranno davvero a rilanciarlo anche se le imprese non sono state coinvolte?
«Il governo ha fatto una cosa molto importante varando, con l’ultima Legge di stabilità, il credito di imposta per gli investimenti produttivi al Sud, totalmente automatico come da sempre chiediamo. I Patti sono un primo passo significativo per dare attuazione al Masterplan per il Sud e fissare le priorità in ciascun territorio per far ripartire gli investimenti. Ora bisogna che queste priorità diventino progetti concreti».

Lei ha insistito spesso sulla detassazione del salario di produttività: resta il suo obiettivo di fondo almeno nell’immediato? 
«La detassazione del salario di produttività rimane senz’altro uno degli obbiettivi di breve termine. Ieri l’ho detto con forza. Dobbiamo lavorare su questa strada, perché è cosi che si lega il salario alla produttività e si innesca un meccanismo virtuoso: maggiore competitività e più ricchezza redistribuita a famiglie e lavoratori. Questa è la strada intrapresa con l’ultima legge di stabilità. Va rafforzata e resa strutturale».

Dicono che la frattura interna non si è ancora ricomposta del tutto: è così? E cosa teme in particolare? In altre parole: si sente un presidente di apparato?
«Siamo un’Associazione molto grande e molto variegata. Il confronto è normale, democratico e sano. Ci fa crescere. Ma io sono sicuro che, come è sempre stato, da adesso in poi saremo tutti compatti per un unico obiettivo: la crescita di questo Paese. Abbiamo una responsabilità troppo grande per poterci permettere lacerazioni. Da parte mia io sono a totale a disposizione, sarò presente nei territori e nelle categorie e manterrò stretto il rapporto con il sistema. Mi considero un pari tra pari e accoglierò tutti i suggerimenti, che saranno preziosi per le scelte che sarò chiamato a fare».

Ma le piccole imprese di cosa hanno veramente bisogno per essere competitive anche fuori Italia?
«Piccolo non è bello in sé, ma è solo una fase della vita delle imprese, che devono ovviamente puntare a crescere e diventare medie e poi grandi. Le imprese sono come figli. Dobbiamo lasciarle emancipare. In questo una cosa è fondamentale: le imprese devono investire nell’innovazione e nell’utilizzo delle tecnologie digitali. Per questo servono capitali, per attrarre i quali le imprese devono modernizzare i loro modelli di governance e di finanziamento».

In Italia conta pochissimo il merito: secondo lei di chi è la colpa?
«Nel fare impresa il merito è fondamentale e, senza, l’impresa non può stare sul mercato. Gli imprenditori sanno bene quanto conti il merito e soprattutto la qualità e l’ingegno delle risorse umane; le persone sono il più grande patrimonio delle aziende e del Paese. Il merito fa la differenza tra un’impresa che resiste e cresce e una che muore. Purtroppo in Italia spesso le rendite di posizione bloccano e imbrigliano, su queste bisogna agire».
Il governo ha ripreso a discutere con i sindacati su temi delicatissimi come le pensioni e il lavoro. Se lei potesse dare un consiglio alle organizzazioni dei lavoratori, cosa direbbe? 
«Dico questo: l’obiettivo comune deve essere quello di migliorare la competitività delle nostre imprese per farle crescere. E la competitività migliora se aumenta la produttività. Per questo dobbiamo puntare a legare salari e produttività. Perché così più cresce la produttività, più aumentano i salari. E’ un obiettivo comune su cui bisogna lavorare».
Tra le grandi riforme che attendono il Paese qual è la sua priorità?
«Le riforme fanno parte del DNA e della storia di Confindustria. A partire dalle riforme costituzionali. E faccio riferimento al superamento del bicameralismo perfetto e dell’attuale Titolo V. Per questo, come ho annunciato ieri, riuniremo il 23 giugno il Consiglio Generale per decidere il nostro orientamento sul referendum. Prioritari per noi, poi, sono anche la riforma della Pubblica amministrazione che va rapidamente attuata e il completamento della riforma del mercato del lavoro, con la messa in atto di efficaci politiche attive e passive. Su questo chiediamo al governo un forte impegno».
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