La sconfitta del partito
personalizzato

di Massimo Adinolfi
Martedì 6 Dicembre 2016, 23:34
4 Minuti di Lettura
E ora cosa succederà, nel Pd? Oggi è giorno di Direzione nazionale, e i riflettori sono tutti puntati sulle scelte di Renzi, e sugli smarcamenti più o meno grandi che si registrano nella maggioranza. Perché è più facile seguire il leader nel trionfo, molto più difficile abbracciarne le sorti nella sconfitta. È un tema che si pone anche a Napoli, e in Campania. Vincenzo De Luca non è abituato a perdere le elezioni: non gli è mai capitato. Questa volta però è accaduto: persino a Salerno, dove il Sì si aspettava di vincere a mani basse. La spiegazione che il governatore ha fornito è la seguente: la sfida era difficile, bisognava giocarla fino in fondo per lealtà a Renzi, ma le scelte del governo – sul lavoro, sulla scuola, sulla pubblica amministrazione - ci hanno penalizzato. Il voto non ha dunque un significato locale, ma nazionale.

Ora, è chiaro che una simile analisi lascia quasi per intero a Renzi il peso della sconfitta. E probabilmente c’è del vero, dal momento che il No ha prevalso su tutto il territorio nazionale (anche se un’analisi di grana più fine farebbe rilevare differenze fra le diverse aree del Paese, e collocherebbe il Mezzogiorno più distante dall’area di governo). Ma il fatto è che De Luca si è comunque speso a fondo, esponendosi mediaticamente per certe intemperanze verbali che, a detta di molti centro il Pd, non hanno affatto aiutato il Sì alla riforma. Così i fronti aperti sono due: uno è quello fra De Luca e Renzi, lungo il quale corrono sempre più pronunciate certe linee di tensione. Per ora in forma di dinstinguo, di accenti e sottolineature diverse, ma in futuro chissà.

Un altro fronte è invece interno al Pd campano, perché un De Luca che è costretto a spiegare le ragioni della sconfitta permette al resto del partito di riprendere voce, e coraggio. Dici Pd campano ma in realtà dici Napoli, perché è con i democratici napoletani che il feeling non si è ancora stabilito. Il Pd vorrebbe guadagnare un’autonomia e marcare una presenza in giunta regionale che finora non si è vista. Come ai tempi della prima Repubblica, si ricomincia dunque a parlare di rimpasto. Le scelte fatte da De Luca nella composizione della giunta non sono mai state digerite. Il governatore ha puntato su una squadra nuova, dal profilo politico molto contenuto, proprio per non dare spazio e potere a nessuno che potesse fare ombra alla sua leadership. Per non consumarsi in estenuanti mediazioni, ma anche per non dare conti a nessuno delle scelte di governo. Sul territorio, del resto, un partito non c’è: c’è un insieme di cordate, legate ai micronotabilati in cui si è polverizzato oggi il Pd.

Ma qualunque discorso sul partito, in quest’ultimo scorcio d’anno che dà sulla prossima assise congressuale del 2017, in tanto può essere fatto in quanto la presa di De Luca si è allentata. Ed è quello che è successo dopo il referendum di domenica. Fin qui la descrizione della vicenda interna. Ma ovunque si fermerà il pendolo che in queste ore sta oscillando - più o meno vicino alle ambizioni di De Luca, oppure a quelle di chi prova a frenarne il passo - resta il dato elettorale. Certo: ha perso Renzi, ha perso l’idea che si potesse indicare nella riforma costituzionale il cambiamento che il Paese chiede, ma è certo anche che l’interpretazione che ne viene offerta dal Pd campano, in termini di gestione del potere, di intermediazione politica fondata su un rapporto di tipo notabilare, è molto lontana dal costituire un possibile terreno di risposta. Se la domanda fosse: cosa significa l’appartenenza al partito democratico in questa regione, la risposta ben difficilmente là si potrebbe dare in termini di proposte, progetti, visioni, storie.

C’è un deficit di cultura politica evidente.
Del resto, la personalizzazione impressa alla vicenda campana dalla vittoria di De Luca nelle elezioni regionali fa il paio con quella di Renzi a livello nazionale, ma è sempre più dubbio che da sola basti. Che basti cioè essere non democratici, ma deluchiani o anti deluchiani. Eppure, per un verso o per l’altro, le ultime mosse dentro il Pd sembrano correre ancora lungo questa faglia. Che l’esito del referendum rischia non di correggere, ma anzi di approfondire. E poiché non solo nel presente, in città, ma anche in futuro, a livello regionale, la sfida è rappresentata dalla retorica populista di De Magistris, forse è bene che il partito democratico cominci da subito a rinnovare modi, forme e contenuti della sua azione politica, e a imbastire uno spettacolo diverso da quello che rischia di prendere corpo in queste ore.


 
© RIPRODUZIONE RISERVATA