Passare dai progetti sponda di questa o quella clientela ministeriale o regionale alla riunificazione infrastrutturale del Paese unendo Nord e Sud, aree metropolitane e aree interne, significa fare finalmente con i soldi europei quello per cui i soldi ci vengono dati. Per produrre sviluppo e creare occupazione di qualità, non per comprare consenso togliendo futuro a tutti. Accumulando, peraltro, ritardi sistemici nella capacità di spesa effettiva.
La sfida è sostituire le mance con una programmazione coerente dove tutti e tre i programmi europei, quello straordinario del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e quelli della Coesione europea e del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione nazionale, la smettano di contrastarsi e di sovrapporsi con l'effetto di paralizzare tutto e comincino finalmente a dialogare tra di loro centrando gli obiettivi e facendo quello che si deve fare.
Punto primo. I soldi della Coesione arrivano dall'Europa all'Italia per intervenire sulle risorse idriche, sul ciclo dei rifiuti, sul dissesto idrogeologico, bonifiche e tutela dell'ambiente, incentivi alle imprese. La riorganizzazione operata riflette filosofia, target e strumenti di quella già attuata con successo sul Pnrr alla quale pochi credevano e che ha invece riscosso il plauso europeo. Si opera sugli obiettivi abilitanti con regole certe in base alle quali se devi comprare patate non puoi comprare pomodori. Si recupera una flessibilità importante, ma dentro le regole con premialità e poteri di supplenza: il programma si fa prima insieme, si indicano opere, tempi, finanziamenti, scadenze; non si cambia tutto in corso d'opera senza dire niente a nessuno e senza doverne mai rispondere.
Punto secondo. Proprio queste nuove modalità permettono di recuperare un racconto degli interventi passo dopo passo che rispettino la coerenza sistemica dell'intera programmazione e tolgano all'Italia la patente di Paese più disastrato nell'utilizzo dei fondi comunitari come emerge dall'ottavo e dal nono rapporto della commissione europea sulla coesione. Queste nuove regole riguardano le Regioni come i ministeri e si pongono l'obiettivo di imprimere una forte accelerazione sull'attuazione dei programmi delle prime come dei secondi.
Punto terzo. Questa scelta tecnico-operativa riflette l'intuizione politica strategica della Meloni di unificare le deleghe e beneficia della spinta competente del ministro Fitto. L'Italia diventa così il primo Paese in Europa a integrare Pnrr, Coesione europea e Fondo di Sviluppo e Coesione, secondo un disegno coerente che riflette la logica e lo spirito dell'azione illuminata di uomini del calibro di Pescatore e Menichella che fecero nel Dopoguerra con i dollari degli americani quello che si prova a fare oggi con gli euro del bilancio pubblico europeo e italiano.
Conclusione. Siamo davanti a una riforma storica.
Purtroppo, la polemica politica elettorale su strumenti legati costitutivamente a una rinegoziazione con l'Europa come è sempre accaduto per il bonus decontribuzione, e quindi oggetto di nuove trattative, non permette di cogliere come questo terzo pilastro della riforma della Coesione chiuda il triangolo di un intervento strategicamente rilevante. Che è l'unico possibile per unificare tutti i tre programmi dentro una strategia di medio periodo e con piani finanziari di spesa verificati di anno in anno. Una rivoluzione silenziosa che può cambiare il Paese. Una rivoluzione silenziosa alla quale tutti dovrebbero contribuire senza pregiudizi. Anche qui, molto banalmente, perché tutti ne hanno da trarre vantaggio.