La plastica e l’acciaio, e in misura minore carta e cartone. Sono questi i materiali su cui il nuovo coronavirus riesce a sopravvivere più a lungo. Lo avevano evidenziato già lo scorso marzo i virologi dello statunitense National institutes of health, che sono riusciti a quantificare la durata di tempo massimo in cui il virus rimane in vita su differenti superfici. Ora, a distanza di otto mesi, la Cina blocca le sue importazioni di pesce da un produttore cileno dopo aver isolato tracce di Covid-19 sugli imballaggi di granchio ma anche sul prodotto stesso, pronto per essere acquistato dai consumatori.
Covid, lo studio Iss: «Caldo diminuisce capacità del virus di infettare»
IL VIAGGIO DEL COVID
Una scoperta che riporta in primo piano i pericoli di contagio da superfici esterne, che spesso come nel caso delle confezioni di cibo non vengono considerate temibili fonti di rischio e invece possono rivelare la presenza del virus nel prodotto stesso. Lo scorso 28 novembre un test degli acidi nucleici su una partita di granchi importata dal Cile ha dato esito positivo alla presenza del Covid-19, informa in un comunicato l’Amministrazione generale delle dogane. Gli acquisti da “Pesquera Isla del Rey” sono state sospese per una settimana in via precauzionale, tuttavia questo è solo uno dei numerosi casi in cui sono state trovate tracce del virus su imballaggi e alimenti.
IMPORTAZIONI BLOCCATE
Le merci importate rappresentano dunque un pericolo? Lockdown, distanziamento sociale e uso di mascherine potrebbero essere vanificati per effetto dell’ingresso di cibi contaminati da altri Paesi? Gli esami condotti in Cina, con numerosi casi di prodotti infetti, indicano che i cibi refrigerati sono un potenziale rischio di reintroduzione del virus. Non solo. La possibilità di infezione da superfici contaminate ha convinto il Paese a bloccare l’importazione di altri articoli: frutti di mare dall’Indonesia e ali di pollo dal Brasile, dopo i risultati positivi all’infezione su container e imballaggi. Il Consiglio di Stato ha assicurato che effettuerà una disinfezione completa degli alimenti della catena del freddo importati, eseguirà test nei porti e garantire che tutti i prodotti in vendita siano tracciabili.
PARERI CONTRASTANTI
Sul tema, tuttavia, le posizioni sono ancora controverse. L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) respinge le prime conclusioni secondo cui i prodotti importati rappresentano un pericolo, sostenendo che non c’è alcuna prova definitiva in base alla quale gli imballaggi siano veicolo del virus. Questo, sostengono gli esperti, «non può moltiplicarsi nel cibo, poiché ha bisogno di un animale vivo o di un ospite umano per moltiplicarsi e sopravvivere». Di parere opposto il Chinese centre for disease control and prevention (CDC), che il 17 ottobre ha comunicato di aver trovato tracce di virus sugli involucri di cibi surgelati e che i contatti con tali materiali contaminati potrebbero provocare infezioni. Gli esami condotti su confezioni di merluzzo importato dimostrerebbero che il Covid sopravvive anche alle lunghe distanze.
«È la prima volta al mondo che tracce “vive” del virus sono state trovate sugli imballaggi per alimenti freddi – riporta la nota dell’agenzia cinese - E se il virus è vivo, significa che ha la capacità di infettare le persone», come avviene afferrando la maniglia di una porta o schiacciando il pulsante dell’ascensore. Altre ricerche condotte in India e a Singapore su carni conservate a temperature refrigerate confermano il pericolo, benché a livello contenuto, e forniscono nuovi elementi sul progressivo adattamento del virus alle condizioni ambientali e sulla sua resistenza. Sulla pelle, ad esempio, dura nove ore, cinque volte in più rispetto all’influenza. Il Cdc ha comunque rassicurato il Paese sul fatto che l’incidenza della circolazione del virus sui cibi surgelati sia minima. A settembre, test a base di acido nucleico condotti in 24 province sul settore dei refrigerati per un totale di 2,98 milioni di campioni, di cui 1,24 milioni condotti sul personale del settore, 670.000 sugli imballaggi e 1,07 milioni su campioni ambientali, hanno fatto emergere solamente 22 casi di presenza del virus su alimenti e imballaggi, per altro con una carica virale bassa.