Il nuovo singolo di Max Pezzali: «Discoteche abbandonate? Archeologia sentimentale»

In uscita il nuovo singolo e poi il tour del cantante

Max Pezzali in una immagine diffusa il 12 aprile in occasione dell'uscita di 'Discoteche abbandonate'. ANSA/ UFFICIO STAMPA ++HO - NO SALES EDITORIAL USE ONLY++ NPK++
Max Pezzali in una immagine diffusa il 12 aprile in occasione dell'uscita di 'Discoteche abbandonate'. ANSA/ UFFICIO STAMPA ++HO - NO SALES EDITORIAL USE ONLY++ NPK++
di Federico Vacalebre
Sabato 13 Aprile 2024, 06:59 - Ultimo agg. 14:55
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«Per tornare a fare canzoni nuove bisogna avere qualcosa da dire. E per avere qualcosa da dire io mi guardo indietro, parlo di cose che conosco, che ho conosciuto». Come le «Discoteche abbandonate», titolo del nuovo singolo di Max Pezzali, che per lanciarlo ha persino organizzato ieri una visita guidata per la stampa milanese: in pulmann, verso il Docking e il Celebrità, al cui posto oggi c'è un garage: «Sette volte su 10 qui non riuscivo ad entrare perché ho sempre avuto un problema col dress code», ha raccontato all’entrata del primo, «eppure sentivo lo stesso di far parte di qualcosa di più grande di me. Qui abbiamo scoperto la musica e l'altrove, per la mia generazione tutto è accaduto lì. Poi a un certo punto hanno chiuso perché la gente non sopportava più il rumore, si pensava che le discoteche fossero la causa di ogni degrado, le hanno chiuse ma il degrado è rimasto, sono state il capro espiatorio, ma evidentemente il punto non era lì».

Nostalgia canaglia, Max?

«A 56 anni può capitare: “È stato bello ballare”, canto, “ballare fino a qui, in pista ed al centro del ring, e poi scappare dal sole, e poi scappare da soli”.

Fa impressione, almeno a quelli della mia generazione, scoprire che cosa è successo in quei luoghi che erano i templi del weekend ed ora sono diventate cattedrali abbandonate».

Quando e perché è successo?

«Non lo so benissimo, ma so che il sentimento di perdita che avverto è condiviso, diffuso. Ho iniziato a riflettere su questo tema stimolato da un documentario, poi ho letto il libro Disco mute, mi sono immerso nel buco nero che ha inghiottito le notti della nostra adolescenza: quelle non ce le dà indietro nessuno, nè ce le toglie nessuno. In fondo quelle discoteche sono caduche come i nostri corpi, questa storia racconta come tutto passa».

Da quelle piste sono passati dj, spacciatori, cubiste, bartender, magnifici animali notturni e imbranati alla ricerca di una notte di gloria, escort, bodyguard...

«E, ancora: playboy e strafiche, ballerine, statue, etero e queer. Si ballava fino all’alba e si tornava a casa con le orecchie che fischiavano. Io in una discoteca di Pavia ho visto la prima drag queen della mia vita: ecco quelle pedane ci hanno formato anche su questo fronte, ci hanno fatto vedere cose che altrimenti non avremmo visto. Era il trattino d’unione tra la provincia e le metropoli internazionali».

Torniamo alla domanda: quando è finita la febbre del sabato sera?

«Fino agli anni Novanta si ballava la “commerciale”, la “dance music”, non si faceva caso ai generi ed ai sottogeneri. Era un ritmo proletario, tamarro, non si parlava di “culture club”: quando abbiamo iniziato a farlo, quando si è parlato di elettronica e di ondate varie, è diventato tutto fighetto, da un fenomeno di massa si è passato a una moda elitaria. Senza dimenticare come i problemi di ordine pubblico intorno alle maxidiscoteche avessero spinto amministrazioni locali e politica ad abbandonarle».

Ammesso le avessero mai sostenute.

«È vero. Sarebbe bello attraversare l’Italia con un tour dell’archeologia discotecara, raccontare le storie di gioia, sballo, perdizione, rinascita legate a questi spazi».

Mi viene in mente il Lucio Dalla di «Anna e Marco». Ma anche un brano dei Coma Cose che ha lo stesso titolo del tuo pezzo: «Siamo le discoteche abbandonate/ luoghi poco sicuri/ coi vetri per terra/ con in cessi divelti/ e con i cazzi sui muri».

«Pensa alle frasi tipo: “Un mio amico ci entrare nel privè”. O “mi manda il dj”. Pensa alle vite viste passare al Cocoricò».

Ma tu cuccavi in discoteca?

«Nooooo. Io avevo come massima carta di arremgaggio sessuale la chiacchiera, e già non funzionava molto. Con il volume della musica che impazzava nel dancefloor parlare era escluso. E, quindi, me ne restavo... come dite a Napoli?».

Uocchie chine e mane vacante?

«Bravo, proprio così».

Video

Hai scritto il pezzo con Jacopo Ettore e Cavona che ne ha curato anche la produzione.

«Entriamo nella macchina del tempo, per tornare a quando al centro c’era la pista: palcoscenico e ring, spazio comune in cui tutte le differenze si annullavano. Oggi gran parte di quel mondo non esiste più: restano rovine erose dal tempo e l’eco di voci, risate, pianti, sogni e speranze di generazioni di giovani che hanno avuto la fortuna di viverlo tra aggregazione, divertimento, eccessi, sperimentazione, innovazione, controcultura e libertà. Nel video ho coinvolto l’associazione Ascosi Lasciti che da anni si impegna proprio a riscoprire questi luoghi dimenticati, ma anche i dj, i sacerdoti di quel templi, di quelle cattedrali abbandonate. Ah dimenticavo la dedica: impossibile non pensare a Claudio Coccoluto di fronte a quei quei luoghi straordinari, epici, oggi vuoti e vandalizzati. È davvero questa l’archeologia della nostra civiltà: gli spazi spogliati dalle persone perdono il loro fascino, che rimane solo nella memoria, quasi fossimo di fronte ad una civiltà decaduta tipo Atlantide'"».

Dal 9 giugno, stadio Nereo Rocco di Trieste, riprendi il «Max forever (hits only»). Ci sarà da ballare?

«Nel mio repertorio roba dance c’è sempre stata. Stavolta stiamo pensando ad un quadro a tema».

«Discoteche abbandonate» sarà anche un «comic book», il secondo della serie ideata da Pezzali e sceneggiata da Roberto Recchioni, in uscita a maggio.

«Sono sempre stato un appassionato di fumetti, oggi non me ne vergogno più, anzi mi godo l’incontro con un guru come Recchioni».

Mauro Repetto, cofondatore con te degli 883, sta raccontando la sua versione della vostra storia a teatro con «Alla ricerca dell'uomo ragno».

«È giusto che proponga il suo racconto».

Intanto Sky annuncia la serie compagni di banco di Pavia verrà raccontata anche nella serie «Hanno ucciso l'Uomo Ragno - La vera storia degli 883», prodotta da Matteo Rovere e Sydney Sibilia. Ma ci sono eredi degli 883?

«I Pinguini Tattici Nucleari, capaci di raccontare la quotidianità con un linguaggio semplice».

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