Mika e la Napoli che va oltre Gomorra

Mika e la Napoli che va oltre Gomorra
di ​Vittorio Del Tufo
Giovedì 17 Novembre 2016, 08:59 - Ultimo agg. 10:15
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Martedì sera, nel corso del programma Casa Mika, lo showman e cantautore britannico di origini libanesi Mika ha mostrato al paese un gruppo di ragazzi meravigliosi, gli strumentisti di Sanitansamble, giovani musicisti della Sanità che nell'armonia della musica cercano da anni l'armonia perduta della loro terra, adoperandosi per riscattarla. Mika ha interpretato in modo commovente uno dei brani più belli del repertorio classico napoletano, Era de Maggio, dedicandolo a Genny Cesarano, il diciassettenne ucciso durante una stesa di camorra, vittima innocente della guerra che da anni insanguina il centro storico.

L'incontro (a sorpresa) tra Mika e i ragazzi di Sanitansamble è avvenuto a Napoli, proprio alla Sanità, dove l'artista si è fermato davanti alla statua di Genny per chiedergli, semplicemente, scusa. Scusa per tutto quello «che non riusciamo a fare», scusa per tutto quello «che non riusciamo a impedire». La retorica è spesso in agguato quando viene ricordata una vittima innocente di camorra. Invece non vi è nulla di retorico nell'omaggio che l'artista britannico ha voluto dedicare, prima ancora che a Genny, alle ragazze e ai ragazzi dell'orchestra Sanitansamble, che coinvolge (e sostiene) oltre 80 bambini e ragazzi di età compresa fra i 6 ed i 22 anni per costruire con ognuno di loro un percorso di autonomia e crescita, anche dopo l'esperienza orchestrale.

Quei ragazzi stanno utilizzando la musica per cambiare la loro vita, ma anche per cambiare il loro sguardo sul mondo. Cercano di guardare oltre, ma senza uscire dalla Sanità, senza tradire le proprie origini. Anziché cedere alla retorica, ma utilizzando (proprio come i ragazzi della Sanità) lo strumento della musica, Mika ha dimostrato come sia possibile mettere in campo una narrazione originale dei quartieri a rischio di Napoli, della loro complessità. Diversa che quella che oggi, da Gomorra in poi, troppo spesso si impone e che rischia di cristallizzare l'immagine della città in figure stereotipate, di facile consumo mediatico. Nei volti dei giovani musicisti della Sanità, e nel racconto che ne ha fatto Mika nella sua trasmissione, c'è il desiderio di ribaltare un destino di convincere se stessi e il mondo che quel destino non è irredimibile.

Il grigio c'è e va raccontato, sempre e comunque. Ma è possibile raccontare quel grigio senza trasformarlo in un luogo comune? È possibile farne, viceversa, il punto di partenza per un riscatto possibile? Crediamo di sì, perché in quel grigio vi sono tante contaminazioni possibili ­ con la musica, con l'arte, con l'associazionismo - che rendono possibile quel riscatto. Quando, dieci anni fa, Roberto Saviano ha scritto il suo crudo racconto sulle faide di camorra e su un'intera economia infiltrata e infestata dal crimine organizzato, ha fatto un'operazione importante e di straordinario impatto perché ha raccontato, in una chiave non convenzionale e con strumenti narrativi non convenzionali, una Campania e un Sud poco conosciuti (al di là della narrazione giornalistica). 

Una Campania e un Sud spesso non visti, troppo a lungo ignorati o rimossi. A quella originalità ha fatto però seguito una narrazione seriale, anche cinematografica, che rischia di autoriprodursi all'infinito, di autoalimentarsi, di diventare uno schema narrativo rigido e meccanico, nel quale non c'è spazio per il ribaltamento del destino. E invece altre narrazioni sono possibili. E vincenti. Senza rinunciare al racconto della complessità, ma proprio a partire da quella complessità. Quella che Mika racconta insieme con i ragazzi della Sanità, ma anche con padre Antonio Loffredo, con il maestro Paolo Acunzo, con Mario Gelardi del nuovo teatro Sanità e gli altri protagonisti di questa stagione di riscatto, è una storia di contaminazioni.

La cultura ha la straordinaria opportunità di superare i luoghi comuni, se è in grado però di accendere fuochi, di farci vedere oltre, di mostrarci quello che gli altri non vedono. Questo vale per chi narra, ma vale anche per chi opera sul campo. Vale per l'associazionismo, per l'antimafia dei territori, per tutti coloro che lavorano nelle zone di camorra e hanno la possibilità di intercettare, in quelle zone, ciò che già sta cambiando. Quando Gabriele Frasca, ex presidente del Premio Napoli, ha deciso di portare il premio, quindi la cultura, dentro le carceri non lo ha fatto per un vezzo intellettuale ma perché ha capito che dentro le carceri la cultura germoglia, produce conflitti, insegna a mettersi in discussione; soprattutto interrompe - può interrompere - la spirale dannata tra i padri e i figli, tra generazioni e destini. Può spezzare la continuità, dimostrando che i destini non sono irredimibili. Insomma, un'altra narrazione della città, dei quartieri a rischio, è possibile se spezza i fili, se separa i destini dei figli dal destino dei padri. È la narrazione che preferiamo, perché fa germogliare il futuro, anziché riprodurre all'infinito la maledizione del passato.

 
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