Erri De Luca, Discorso per un amico: il passo delle parole scala le Dolomiti

Lo scrittore torna con «Discorso per un amico» e attraversa il lutto dovuto alla perdita del compagno di escursioni

SCRITTORE Erri De Luca, in alto il murale (rimosso) per Luigi Caiafa
SCRITTORE Erri De Luca, in alto il murale (rimosso) per Luigi Caiafa
di Generoso Picone
Sabato 4 Maggio 2024, 08:00
4 Minuti di Lettura

«La scalata è una specie di lettura dal basso in su, lo scalatore è anche il lettore di una vasta pagina aperta su di lui», scrive Erri De Luca in un passaggio di Discorso per un amico (Feltrinelli, pagine 93, euro 14), il racconto lungo dedicato a Diego Zanesco, il suo compagno di escursioni sulle rocce delle Dolomiti, stroncato da un infarto il 30 luglio 2023 sulla Tofana di Rozes. Era la vigilia del sessantesimo compleanno della guida alpina con cui durante il periodico incontro estivo lui si accompagnava nelle impervie camminate in montagna, dialoghi intensi e riflessioni condivise, momenti di vita attraversati in cordata, il legame tra alpinisti che consegna un tratto simbolico da riversare nel senso da dare all’esistenza.

La brutta sorpresa 

Erri De Luca stava per raggiungerlo con il proposito di ricavare stimoli, spunti, scintille per le sue storie: si ritrovò a pronunciarne l’orazione funebre – qui riproposta - davanti alla salma nella chiesa di Villabassa, piccolo centro della Val Pusteria, il successivo sabato 5 agosto.

Il termine dei giorni, non la fine di una amicizia che sarebbe proseguita in altri modi, rievocandola nei ricordi, nelle immagini e rispondendo ora alle lettere – donategli dalla moglie Franziska - che Diego gli aveva scritto e però mai inviato: senza più fissare prossimi appuntamenti e definire obiettivi di vetta, ma continuando a imbattersi nella sua ombra «mentre scalo, mentre scrivo queste righe che vanno in discesa, di ritorno da qualche cima». Ecco, allora, che questo Discorso per un amico consegna il profilo biografico di un uomo che nella velocità dei suoi passi sulla roccia inseguiva la felicità - e perciò era un uomo autenticamente felice - celebrando il valore di un sentimento intimo e intenso nella declinazione di una indagine sul significato da conferire alla contingenza di stare al mondo, alla rilevanza di abitare il tempo dato, alla verità che si arriva a cogliere nella purezza di un cielo terso. 

Le Dolomiti 

«Le Dolomiti perdono pezzi per i crolli. Lasciano una ferita bianca sulla facciata al posto del distacco. Queste pagine sull’amicizia nostra stanno a immagine del bianco scoperchiato dal crollo avvenuto tra di noi», aggiunge Erri De Luca e l’affermazione rimanda a quella emersa nel racconto di un’altra compagna di altitudini, alla Nives Meroi di Sulla traccia di Nives del 2005, nel dialogo di allora che diventa il preludio di un’articolazione dialettica proiettata alla vicenda di Diego Zanesco: «Se non sai se puoi fidarti di un compagno, portalo in montagna. Vero, la montagna smaschera».

Le scritture ad alta quota di Erri De Luca si prestano a una pratica di ecologia dello sguardo e delineano una sorta di schema interpretativo della realtà liberata dalle scorie del quotidiano per individuarne il nucleo essenziale. La sua bellezza.

Dialogo per un amico delinea il profilo di un interprete dell’animo posseduto dall’entusiasmo di cui parlava Marina Zvetaeva: «Diego in certi giorni vedeva il gratis del mondo e se ne rallegrava. Gli dicevo che aveva una visione delle cose dovuta al suo entusiasmo (…) Chi come lui lo percepiva, vedeva la sostanza di ogni cosa». 

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Con passo leggero 

Immerso nell’ambiente dolomitico che l’accoglieva naturalmente, percorreva con passo leggero i sentieri più arditi e segnava l’itinerario per gli altri, smussava la roccia con le dita e le fessure nella pietra parevano indicare «il modo di sfruttarla per allungarsi verso l’appiglio di uscita».

In fondo, come la scrittura e De Luca – appena curata per Crocetti l’antologia di poesie di lotta e di resistenza Grido non serenata (pagine 131, euro 16) – può ricavarne la definizione di una letteratura come «infinita redazione di varianti». «Narrare è quell’attività antica della nostra specie in cui non esiste il progresso. Cervantes non supera Omero, Petrarca non sorpassa Pindaro o Isaia. Diego confermava applicando la sua scalata su roccia. Anche la più ripetuta e memorizzata gli comportava aggiornamenti e piccole variazioni».

Scalare e raccontare dunque sono forme di una ri-conoscenza, gesti accomunati dal dispositivo della rivelazione di quanto si possiede e non si sa. «Quello che non ho mai visto prima, che riconosco», nelle parole di Diane Arbus, la fotografa suicida a 48 anni nel 1971. Una conquista che si compie muovendosi liberi da mappe, come nell’Odissea di Kazantzakis, il poema di 33.300 versi sul seguito delle rotte di Ulisse che Zanesco amava: «Eri anche tu viaggiatore senza mappa, anche tu arrivato nella terra più a Sud della terra». 

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