Napoli, la «Fontana degli Incanti» ritrova i leoni dimenticati al Maschio Angioino

Le sculture individuate dagli esperti del Comune, lunghe ricerche per scoprirne la provenienza

I leoni recuperati
I leoni recuperati
Paolo Barbutodi Paolo Barbuto
Martedì 16 Aprile 2024, 23:30 - Ultimo agg. 17 Aprile, 11:27
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Quando hanno individuato quelle statue di quattro leoni accucciati, in un deposito di Napoli in fondo alle segrete del Maschio Angioino, gli esperti del Comune non avevano idea della provenienza. Hanno coinvolto la Soprintendenza, hanno dato il via a una di quelle affascinanti indagini sull’arte del passato che richiedono tempo, pazienza e grande attenzione ai dettagli.  Alla fine hanno scoperto che i leoni provenivano dalla «Fontana degli Incanti» che oggi sta abbandonata a Posillipo, in piazza Salvatore di Giacomo e non ha proprio nulla d’incantevole: «Ma a breve tornerà ad essere una fontana monumentale e a zampillare come accadeva fino all’inizio del secolo scorso», spiegano con entusiasmo da Palazzo San Giacomo.

Il restauro

Partono in queste ore le operazioni di restauro dei quattro leoni che rendevano monumentale la fontana.

Nel frattempo sono iniziati anche, da tempo, gli interventi di rifunzionalizzazione della fontana da parte della Abc per restituire gli zampilli intorno alla vasca: poi, in tempi brevi, probabilmente prima dell’estate, torneranno al loro posto anche i leoni e la fontana degli incanti tornerà ad essere davvero incantevole.

La notizia assume particolare rilevanza in questi giorni perché, esattamente un anno fa, venne realizzata un’installazione di protesta con la quale, sui basamenti dov’erano un tempo i leoni (e dove torneranno a breve) vennero issati quattro wc affiancati da un irridente cartello «lo stato dell’arte».

La scomparsa

Da quanto tempo i leoni sono stati abbandonati nelle segrete del Maschio Angioino? Una data precisa non è stata rilevata. Probabilmente quello spostamento in deposito è avvenuto in occasione dell’ultimo degli innumerevoli traslochi ai quali è stata sottoposta la fontana che ha origini cinquecentesche.

Alla fine dell’800, in seguito agli sconquassi del Risanamento di Napoli, la vasca venne installata a piazza Mercato. Poi si decise di trasferirla a Posillipo, nella collocazione attuale: in quell’occasione venne smembrata per essere ricostruita nell’attuale piazza Salvatore Di Giacomo, la risistemazione venne eseguita a metà, i leoni restarono nei depositi e poi, piano piano vennero spostati sempre più in basso, fino ad arrivare nelle segrete di Castel Nuovo dove sono stati riscoperti solo in questi giorni.

La civetta

In realtà per i napoletani quella fontana non ha mai avuto il nome aulico con il quale venne battezzata ai tempi del vicerè Don Pedro di Toledo, «fontana degli Incanti»: la gente della città l’ha sempre chiamata fontana della «Coccovaja», cioè della civetta.

La denominazione, secondo la più comune spiegazione, deriverebbe dallo stemma inciso in cima alla struttura, il simbolo vicereale che rappresenta un’aquila con le armi di Carlo V. C’è, però, un’altra possibile spiegazione. Al tempo in cui venne realizzata, quella fontana monumentale era arricchita da statue del mito greco, una delle quali era Minerva che fu scolpita con il suo animale sacro sul braccio, una civetta. Probabilmente proprio quella rappresentazione fece scaturire il nome che venne utilizzato dal popolo per individuare quella fontana.

I getti d’acqua, inizialmente, sgorgavano nell’antica piazza dell’Olmo, che nel sedicesimo secolo era esattamente di fronte al porto. Serviva ad offrire acqua alle persone che vivevano nella popolosa zona portuale ma anche agli equipaggi in partenza, era un gesto di generosità della città verso i marinai. Piazza dell’Olmo non esiste più (oggi in quel luogo corre via Depretis), e anche la fontana, così come nacque, non esiste più. Travolta e distrutta dalla rivoluzione di Masaniello venne sottoposta a molti restauri e a tanti spostamenti, l’ultimo dei quali, come detto, in Piazza Mercato prima del definitivo trasferimento a Posillipo.

L’ultimo restauro, quello che ha introdotto i leoni oggi recuperati, risale alla fine dell’800 e venne realizzato da Pietro Bianchi, l’architetto che ha disegnato la chiesa di San Francesco di Paola a piazza del Plebiscito.

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