Beniamino Zuncheddu assolto dopo 33 anni di carcere, perché il risarcimento è a rischio? «Innocenza non certa»

Dopo aver trascorso oltre metà della vita in carcere e dopo essere stato assolto dall’accusa di aver ucciso tre persone, stavolta il 59enne si è ritrovato con un velo di tristezza sul volto

Corte di Appello revisione processo dopo 32 anni di carcere finito l'incubo di Beniamino Zuncheddu. foto PAOLO CAPRIOLI/AG.TOIATI
Corte di Appello revisione processo dopo 32 anni di carcere finito l'incubo di Beniamino Zuncheddu. foto PAOLO CAPRIOLI/AG.TOIATI
di Umberto Aime
Domenica 21 Aprile 2024, 00:05 - Ultimo agg. 22 Aprile, 09:19
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La certezza che sia innocente non esiste, ma neanche quella della sua colpevolezza. Dunque, assoluzione per insufficienza di prove, che è una sorta di terza via, quella del dubbio appunto, per il Codice penale. Dopo aver trascorso oltre metà della vita in carcere, 33 anni su 59, dopo essere stato assolto dall’accusa di aver ucciso tre persone, dopo aver gioito, a gennaio, per essere scampato all’ergastolo che gli era stato inflitto in primo e secondo grado, stavolta Beniamino Zuncheddu, si è ritrovato con un velo di tristezza sul volto.

Beniamino Zuncheddu, le motivazioni

Nato e residente a Burcei, comune del Cagliaritano, ci è rimasto molto male, dopo aver letto le motivazioni della sentenza con cui la quarta sezione della Corte d’appello di Roma ha deciso, nel processo di revisione, che forse non è stato lui (e il forse i giudici lo hanno sottolineato più volte) a «mettere in atto la strage di Sinnai», nel gennaio del 1981.

Perché, in questa storia umana e giudiziaria complicata e persino assurda, proprio l’ultima sentenza potrebbe avere un effetto beffa per l’ex ergastolano. Lo Stato potrebbe approfittare infatti di quel dubbio - evidenziato dai giudici - per pagare a Zuncheddu un risarcimento non più milionario, che invece gli spetterebbe per quella lunga, lunghissima, ingiusta detenzione.

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La decisione

Fra meno di due mesi, a giugno, l’avvocato difensore Mario Trogu presenterà la richiesta di risarcimento (appena la sentenza sarà definitiva) ma dovrà anche argomentare perché quel verdetto di fatto sembra essere una seconda ingiustizia ai danni dell’ex servo pastore, che da quando è in semilibertà, tre anni fa, s’è lasciato alle spalle l’ovile e fa il cameriere in un bar di Burcei. Da Marsala, dove insieme al suo assistito ha partecipato al convegno «I grandi errori giudiziari da Tortora a Zuncheddu», organizzato dalla Camera penale, il legale ha già commentato. «Le nostri tesi sull’innocenza di Beniamino sono state tutte accolte nella motivazione. Ma poi il tutto sfocia in quelle conclusioni non condivisibili - sottolinea l’avvocato Trogu - e che sono infatti la parte più deludente della sentenza. Nonostante il castello di accuse contro Beniamino sia crollato dall’inizio alla fine, i giudici scrivono che l’assoluzione non è piena perché l’imputato non ha dimostrato la sua totale estraneità ai fatti. È un ragionamento, quello finale dei magistrati, che contrasta con la Costituzione, la nostra legge processuale e anche con quanto sempre sostenuto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo: la presunzione di innocenza. Perché fino a quando la responsabilità non è provata, l’imputato va considerato comunque innocente. In ogni caso dev’essere sempre l’accusa a dover provare la colpevolezza, non certo l’imputato a doverla provare».

 

Il processo

Invece, secondo la Corte d’appello di Roma, «il processo di revisione non ha portato alla dimostrazione della certa e indiscutibile estraneità di Beniamino Zuncheddu, ma semplicemente ha fatto emergere un ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza». Per poi aggiungere: «È chiaro che una volta venuta meno la prova-cardine del teste oculare (ora indagato per calunnia dalla Procura della Repubblica di Cagliari) la residua scorta indiziaria non può comunque ritenersi sufficiente per arrivare alla conferma della condanna di Zuncheddu, oltre ogni ragionevole dubbio. Non esiste però neanche la prova piena della sua innocenza - si legge nelle motivazioni - e la già esile speranza di poter giungere a una ricostruzione veritiera ed attendibile dello svolgimento dei fatti dopo trent’anni, è stata nel frattempo gravemente pregiudicata dalla forte attenzione mediatica riservata alla vicenda». Come sempre di poche parole, Zuncheddu non ha voluto commentare in prima persona quest’ultimo atto della sua odissea giudiziaria, lasciandosi andare solo a un commento molto amaro: «Mi è stata rubata la vita. Ora nessuno può mettere in dubbio che abbia il diritto di essere risarcito. Che lo Stato, nel frattempo, mi dia almeno mille euro al mese». A marzo il Tribunale di sorveglianza un indennizzo lo ha già riconosciuto all’ex servo pastore: 30mila euro, ma solo per la sua «trentennale permanenza nelle carceri di Buoncammino e di Badu ‘e Carros, entrambe in Sardegna, in condizioni ritenute inumane per il sovraffollamento e all’interno di celle intorno ai due metri quadri, con il bagno non separato da porte. senza acqua calda, con compagni di cella che dormivano sui materassi ammassarti sul pavimento».

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