Capo Plaza: «Il successo è un ring, vi mostro le mie Ferite»

«Il rap è bello perché è vario»

Capo Plaza
Capo Plaza
Federico Vacalebredi Federico Vacalebre
Sabato 4 Maggio 2024, 08:00 - Ultimo agg. 5 Maggio, 14:04
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A undici anni dall’esordio - era il 2013 quando aprì il suo canale YouTube «per provare a fare rap» - Luca D'Orso, salernitano, classe 1998, per i fans Capo Plaza, sforna il suo terzo (quarto se si conta «Sulamente nuje» con Peppe Soks) album per raccontare le sue «Ferite». 

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«E sono tutti in prima fila, aspettano il mio fallimento»: il disco si apre così, Luca. Ma davvero va così male? Sessantuno dischi di platino, 30 d’oro, milioni di follower non bastano? Sei il primo artista a debuttare su Fortnite con un concerto e un’isola. L’1 febbraio 2025 ti aspetta il tuo primo Forum... Sembra quasi che le cicatrici che mostri nella copertina del disco siano una nuova versione del vecchio detto popolare «i soldi non danno la felicità». 
«Proprio così. Nella vita ci si ferisce sempre, se vinci, se perdi, se pareggi: è la regola quotidiana. Mostrarle, anche con orgoglio, quelle ferite, rende più umani, anche più simpatici. Non bisogna crogiolarsi in quelle crepe aperte, anzi trovare ragione per ripartire, per rialzarsi, per suturare le lacerazioni».

Che cosa non comprano quelle «mazzette» di euro di cui canti spesso in queste 18 canzoni? 
«Tante cose, anche se all’inizio non me ne sono accorto, affamato com’ero di rivalsa.

Ora la mia fame è più artistica, esistenziale. E vedo che non basta essere ai primi posti di una classifica per avere l’amore sincero di una famiglia, di una donna, di un amico».

Di «Ferite» stanno parlando in questi giorni tanti tuoi colleghi e coetanei. «Ferite» causate dal disagio, dallo stress da successo, da un mercato discografico spietato, da una precarietà che porta a un diffuso malessere mentale. Sangiovanni è diventato il simbolo di questa condizione giovanile. 
«Non è un problema di generazione, solo che noi lo diciamo, abbiamo sdoganato una condizione finora spesso relegata nel campo dei tabù. Il lusso, la fama, l’hype non sono tutto, più dei terapisti mi hanno aiutato le persone che mi sono vicine».

Ma quali sono le tue «Ferite»? 
«Il successo è un ring. Sto imparando a ridere, a prendere bene anche le critiche. È come se facessi da sparring partner con il tempo: imparo a incassare i pugni, a farmeli scivolare addosso. Tutto ruota attorno alla consapevolezza di chi sei e di quello che hai. E io ho la consapevolezza di essere un privilegiato, ma i colpi che mi hanno buttato a terra assomigliano a quelli di tutti».

Come le «Ferite» d’amore esposte in brani come «Mi riempi di chiamate» e «Baby girl», che poi è un omaggio al tuo mito 50 Cent. 
«Sono storie mie, prendi la prima: io ero in sala di registrazione e non potevo rispondere a una ragazza, oggi una ex, che mi chiamava con ossessione perché non sapeva dov’ero».

Il maschilismo spunta ancora in qualche testo, penso a «Soldi arrotolati», roba forte da clubbing americano. 
«Con Anna, la sua presenza dà la giusta chiave di lettura al pezzo, e la produzione di Ava ricomponiamo il trio di “Vetri neri”».

Non c’è solo Anna. I «feat» coronano un disco vario, meno monolite trap di «20» (2018) e di «Plaza» (2020). 
«Con Lazza, Mahmood e Tedua ci siamo incontrati, e divertiti, in studio. Con altri è avvenuto tutto a distanza: gente come Annalisa, una delle voci che preferisco, è piena di impegni».

Completiamo la lista con Tony Boy e Artie 5ive. Ma dicevamo del sound. 
«Alterno i generi come i produttori: ci sono anche Michelangelo, Merk & Kremont, Night Skinny. Questo è un percorso musicale in cui ci sono tutte le mie sfaccettature. C’è il pezzo più aggressivo, quello più dance, quello più conscious».

Ti daranno del traditore? Apriranno nuove «Ferite». 
«Può essere, ma si cresce, si cambia. Ricordo le interviste dei miei miti in cui raccontavano che con l’età avevano scoperto altre sonorità, altre sfide. A me è successo, sta succedendo, e qui sento tutte le mie radici hip hop. Il rap è bello perché è vario».

A proposito: si sono riuniti i Co’Sang. 
«Ed io ne sono felice, sono cresciuto con loro: sono dei veri caposcuola».

Pronto per Forum? 
«Mi sto preparando, un po’ di esperienza live ormai la ho, ma siamo ancora in divenire, voglio fare uno show importante, non so se userò una band, vediamo... Dal vivo le “Ferite” le cura il pubblico». 

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