Campi Flegrei, Pozzuoli tra terremoti e bradisismo: «È l'ira di Santo Mamozio. La statua torni in piazza»

La credenza nei vicoli: «Il vescovo si è offeso per lo spostamento»

Campi Flegrei, Pozzuoli tra terremoti e bradisismo
Campi Flegrei, Pozzuoli tra terremoti e bradisismo
di Gianni Molinari
Venerdì 26 Aprile 2024, 23:35 - Ultimo agg. 27 Aprile, 15:30
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Per comodità conviene cominciare dalla fine, se fine si può definire. Una parte di Pozzuoli ritiene (ma forse, per come lo esprime, sarebbe meglio usare “è convinta”) che l’attuale bradisismo sia in qualche modo legato allo spostamento della statua di Santo Mamozio dalla sede di piazza della Repubblica a quella di piazza Cesare Augusto (che proprio distante non è). Ma - come tutto ciò che tocca il sacro e il mistero - le cose sono ben più complesse. E dunque occorre tornare indietro di qualche secolo. È il 1631 e a Pozzuoli arriva il nuovo vescovo, spagnolo come si addiceva ai tempi: Martin de Leòn y Càrdenas.

Il prelato doveva essere un uomo di azione e anche (e soprattutto) di potere: era stato nominato vescovo solo un anno prima di Trivento che, con tutto il rispetto per la sua imponente storia risalente al terzo secolo, non aveva il palcoscenico offerto da Pozzuoli. Palcoscenico che il vescovo ha onorato come meglio non poteva: anzitutto, come si conveniva all’epoca, diede subito lustro al Duomo al rione Terra adeguandolo allo stile del tempo: il Barocco. Nelle navate convocò e ottenne l’opera dei migliori pittori della scuola napoletana con ben tre opere di Artemisia Gentileschi. Poi varò un ambizioso programma di opere pubbliche con un occhio alle condizioni delle classi meno agiate. Di tanta attenzione alla comunità - cosa che non era affatto comune tra i prelati dell’epoca, più dediti a prendere che a dare - i puteolani gliene resero subito grazie rispedendo a Napoli, nel 1647, ben seimila seguaci di Masaniello che, giunti alle porte di Pozzuoli, intendevano saccheggiare anzitutto le proprietà ecclesiastiche (e quindi il vescovo) e poi, trovandosi, tutto il resto della città. Tornarono nella Capitale a mani vuote e con diverse ammaccature. Fu un trionfo, tanto che Filippo IV di Spagna commosso da tanto rispetto alla Corona insignì la città del titolo di “fidelissima”, titolo che ancora campeggia sul gonfalone di Pozzuoli.

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Tanto attivismo fu premiato: Martin de Leòn y Càrdenas nel 1650 fu elevato alla guida della potentissima Arcidiocesi di Palermo e fu, addirittura, a un passo dal titolo cardinalizio.

Ma, come spesso accade quando l’ambizione corre veloce e l’età di più, “sorella morte” ne tarpò le ali.

Appena partito per la Sicilia, i puteolani - e veniamo alla nostra statua - convocarono lo scultore carrarese Giuliano Finelli, cresciuto alla scuola di Gian Lorenzo Bernini, e gli commissionarono una statua “degna” per onorare il prelato, statua da collocare nella piazza centrale della città.

Finelli, né, ovviamente, Martin de Léon y Càrdenas si sarebbero mai immaginati che quella preziosa statua realizzata con una colletta dei puteolani (che non dovevano essere molto generosi visto che questa è una delle sole tre collette fatte nella storia!) cominciasse a girare per la città e non in processione (il marmo è pesantuccio da portare in giro...).

Anzitutto in piazza - dove il vescovo con l’acquedotto al servizio della città aveva installato anche una bella fontana - fu collocata giusto di fronte a quella del presule una statua acefala (trovata durante alcuni lavori pubblici) di un proconsole e prefetto romano, Quinto Flavio Mesio Egnazio Lolliano, detto Mavorzio. Al povero Mavorzio, nel generoso tentativo di ridare una testa (esercizio tuttora in voga nelle società contemporanee sia pure con modalità diverse), prima ne fu collocata una piccola piccola tale da farla sembrare una mela, con grande ironia e sberleffo dei puteolani, e poi - con l’intervento del solito “cugino” («Tengo un cugino scultore, ci pensa lui», fu presentato alla comunità dal politico di turno) - una enorme.

Fino a che, nel 1918, la statua dell’augusto romano fu presa e affidata più opportunamente nel museo archeologico di Baia, dove si trova così com’è stata rinvenuta: senza testa. La statua traslocò e il nome con qualche aggiustamento rimase - non si capisce bene come - in eredità all’altra statua, quella del vescovo: con popolana promozione e per non scontentare nessuno, il vescovo fu promosso “Santo Mamozio”.

Martin de Léon y Càrdenas non avrà gradito il nuovo nome, ma in cambio dell’immutata - anzi accresciuta - devozione ha continuato a estendere la sua protezione sulla città. Città che con furore edilizio, a un certo punto, ha pensato che “Santo Mamozio” avesse esaurito il suo ruolo e potesse lasciare la piazza traslocando in periferia: posto scelto tra gli alberi della villetta del Carmine. Anno - le date nel racconto popolare sono decisive - 1964: la statua trasloca a marzo, a maggio prende fuoco il Duomo, la prima e grande opera voluta dal Vescovo.

 

Poi nel 1970 con il bradisismo viene sgomberato il Rione Terra e poi tra il 1983 e il 1984 arriva il bradisismo che interessa tutta la città. «Il Duomo, il Rione del Duomo e la città: cerchi concentrici, come se l’ira del vescovo fosse un crescendo», commenta uno dei sostenitori della “tesi”. Nel 1987 la statua torna in piazza della Repubblica e il bradisismo (quello del 1983-1984) si arresta (per la verità si era già attenuato da qualche tempo...). «Ma il furore edilizio non guarda alla fede e nel 2014 la statua finisce in piazzetta Cesare Augusto: il resto è cronaca di questi giorni», si commenta nei vicoli puteolani. Dove si ricorda anche un’altra virtù attribuita nel passato alla statua: se i fichi lanciati contro si attaccavano, erano buoni da mangiare, se rimbalzavano no. Una virtù per i puteolani, uno sfottò fatto dai bacolesi.

Dunque il vescovo è irato con i puteolani e manifesta così la sua ira per il declassamento di piazza? «Questo lo dice lei, che collega i fatti», risponde misterioso Antonio Isabettini, profondo conoscitore della storia locale e anche del Vescovo.

Il giro dei bar - come si conviene al cronista a caccia di umori - restituisce molti sguardi di approvazione («Santo Mamozio è offeso») e un avvertimento «Lei (cioè chi scrive, nda) è ironico e guardi che ha iniziato a diluviare non appena ha cominciato a fare domande», avvisa un attempato ma lucido (al di là dell’avviso) avventore.

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«Sono tutte sciocchezze», taglia corto Peppe Aironte che con il negozio di ferramenta fondato dal nonno Salvatore Lo Moriello si approssima al traguardo dei 100 anni. «Il centro è vuoto, anzi svuotato - spiega - Sono andati via tantissimi negozi di vicinato e sono comparsi i locali della movida che aprono la sera o, addirittura, nel fine settimana. Qui la mattina non c’è nessuno. Altro che statue». Certo - al di là del mistero - resta la curiosità: ma perché la statua di Martin de Leòn y Càrdenas ogni tanto cambia posto?

(Ha collaborato Gennaro Del Giudice)

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