«Ci sentiamo umiliati. Chi ha in mano il nostro futuro non riesce a darci risposte perché non capisce nemmeno dove si trova, cosa sta facendo, se stiamo producendo autobus o gelati». A dirlo è uno degli operai presenti ieri mattina, ad Avellino, alla conferenza stampa indetta dalla Fiom Cgil provinciale per fare il punto sull’attuale situazione di Industria italiana autobus (Iia) che, in Valle Ufita, ha una delle sue due sedi produttive. All’appuntamento, che si è svolto presso lo Spi Cgil di viale Italia, è stata massiccia la presenza degli lavoratori dello stabilimento di Flumeri, rappresentati, al tavolo dal segretario generale della Fiom Cgil di Avellino Giuseppe Morsa e dalla delegata Silvia Curcio. Forte il clima di insoddisfazione e di tensione, sentimenti acuiti dall’ultima svolta che ha riguardato la questione dell’Iia. Venerdì scorso, infatti, l’amministratore delegato e il Cda hanno dato le dimissioni. E sono attese per lunedì le nuove nomine.
Il sindacato, che già più volte, in passato, aveva chiesto un cambio radicale ai vertici dell’azienda, per rilanciarla, è perciò in allerta.
Se«La questione immediatamente successiva è quella dell’assetto societario e ribadiamo la necessità di una commistione tra pubblico e privato. Vogliamo la presenza del pubblico non per una questione ideologica, ma perché il suo ingresso può darci la possibilità di entrare in una filiera di produzione rivolta, appunto, agli enti pubblici». Inoltre, sarebbe una garanzia sia per i lavoratori che per gli acquirenti: «Il tempo non gioca a nostro favore, bisogna agire quanto prima», sottolinea Curcio. «In questo momento abbiamo la fabbrica piena di scheletri di autobus da completare, sembra un cimitero. Se questi ordini non verranno portati a termine, andremo incontro a ulteriori spese e sanzioni che il budget aziendale, già precario, non può assolutamente permettersi. È una questione paradossale perché le richieste ci sono, il mercato è a nostro favore, così come ci sono le competenze e le professionalità per fare un lavoro di alta qualità, un lavoro che è artigianale e non viene svolto in catena di montaggio, non siamo robot». A mancare, invece, sono proprio le materie prime:
«Adesso attendiamo il riassetto societario ma, nell’istante successivo, ci aspettiamo di essere convocati dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, così da poter avanzare le nostre richieste. Se così non sarà, andremo noi da loro e pretenderemo di essere ascoltati, perché il cosiddetto made in Italy siamo noi». Intanto gli operai di Flumeri stanno cercando di autogestirsi per ultimare le commesse: «Dall’alto ci viene detto che siamo pagati per non fare niente, ma questo non è assolutamente vero. Stiamo andando anche oltre ciò che ci compete».